Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 203
ottobre 1993


Rivista Anarchica Online

Che significato avrà domani l'anarchismo?
di Colin Ward

In occasione di una festa organizzata ad Amsterdam per l'uscita del 100° numero di «De As», rivista anarchica olandese, all'urbanista anarchico inglese Colin Ward è stata posta la domanda riportata nel titolo. Ecco la sua risposta.

Per rispondere a questa domanda devo cominciare con una serie di asserzioni sulla storia dell'anarchismo:
1. Come ideologia politica, l'anarchia è stata formulata nel 19° secolo dai suoi padri fondatori i quali, come quelli delle altre versioni del socialismo - marxista, fabiano, socialdemocratico - avevano la visione ottimistica di un progresso inevitabile che avrebbe portato alla meta che essi si prefiggevano. Erano tutti ugualmente convinti del fatto che la conquista del potere da parte del «popolo», sia per via parlamentare, che in virtù di un'azione diretta nelle strade e nelle fabbriche o mediante la lotta armata, avrebbe portato ai cambiamenti che essi si auguravano per la società. Quando consideriamo il mancato conseguimento di questi obiettivi da parte degli anarchici, non dobbiamo dimenticare tuttavia che anche il socialismo burocratico di stato, sia nella sua versione socialdemocratica, che in quella di tipo marxista, ha fallito i suoi obiettivi. Gli anarchici possono in realtà senz'altro affermare che settant'anni di esperienza di socialismo di stato hanno prodotto per la causa socialista un ritardo di un secolo.
2. La posizione degli anarchici del 19° secolo è stata unica per il rifiuto non solo del capitalismo, ma dello stato stesso. In genere questa posizione è stata considerata come una prova che essi non erano da prendere sul serio. Ma l'intera storia del 20° secolo ha dato loro ragione. E' stato il secolo della guerra totale, in cui l'eliminazione dei civili è diventata una conseguenza accettata dello sviluppo di armi sempre più sofisticate, mentre le grandi potenze hanno rivaleggiato l'una contro l'altra per vendere i loro mezzi di distruzione ad ogni piccolo dittatore locale del mondo. E' stato il secolo in cui lo sterminio di massa è diventato una politica accettata degli stati civilizzati.
3. Gli anarchici del 19° secolo guardavano con fiducia all'avvento di rivoluzioni popolari che avrebbero aperto la strada a quella che ritenevano sarebbe stata una «società libera». La realtà è stata diversa. La rivoluzione messicana del 1911 ha avuto come risultato la morte e la glorificazione postuma di eroi anarchici come Zapata e Magon e il dominio per ottanta anni di una forza dal nome grottesco come Partito delle Istituzioni Rivoluzionarie.
La rivoluzione russa del 1917 è sfociata nella brutale soppressione degli anarchici e di tutti gli altri dissidenti fino al 1921, a cui sono seguiti settanta anni di dittatura leninista-stalinista, dalla quale solo di recente ha potuto emergere una nuova generazione di anarchici.
La rivoluzione spagnola del 1936 ha portato alla soppressione degli anarchici ben prima che la guerra civile fosse terminata, e fu seguita da 35 anni di dittatura fascista. Come risponderebbero oggi i messicani, i russi o gli spagnoli alle esortazioni rivoluzionarie?
4. Verso la fine del 19° secolo alcuni anarchici cominciarono a formulare la dottrina dell'anarcosindacalismo, cercando di trasformare ogni conflìtto nei luoghi di lavoro in una battaglia per il controllo dei mezzi di produzione. Esso denunciò come un tradimento ogni accordo che i sindacati riformisti raggiungevano in merito al salario, all'orario e alle condizioni di lavoro. I successi ottenuti dai sindacati sono diventati in molti paesi parte integrante della legislazione (nella Spagna di Franco, come nella Svezia socialdemocratica). Negli anni '90 ci troviamo con i datori di lavoro di tutta Europa che cercano di aggirare i regolamenti allo scopo di ridurre il costo del lavoro ai livelli esistenti a Taiwan o in Colombia.
Ogni operaio della Ford è conscio del fatto che qualsiasi attività sindacale a livello aziendale darà come risultato il trasferimento della produzione da parte della multinazionale ad un altro paese. Su questo argomento è imperniata la legge del governo britannico destinata ad abolire gli accordi che prevedono un salario minimo, messa in atto in corrispondenza della decisione della Hoover, nel momento in cui scrivo, di trasferire i propri impianti produttivi dalla Francia all'Inghilterra, così come il rifiuto da parte del governo britannico del «Protocollo Sociale» previsto dal trattato di Maastricht; si tratta di un argomento destinato ad esercitare un'influenza sulle strategie future della sinistra politica, ivi inclusi gli anarchici.
5. Gli anarchici del 19° secolo, così come l'intera sinistra, davano per scontato che il nazionalismo fosse una superstizione che il 20° secolo si sarebbe lasciato alle spalle. L'opinione era la stessa anche nei riguardi delle credenze religiose. L'ultima cosa che essi non avrebbero mai potuto immaginarsi era il risorgere alla fine del 20° secolo dei fondamentalismi religiosi militanti, sia cristiani, che ebrei, islamici e induisti. Il risultato è stato che, come altre persone non religiose e non nazionaliste, non disponiamo di un modo di approcciare questo sgradito problema. Dobbiamo attaccare il revivalismo religioso, con il rischio di alimentarne, anziché ridurne, il potenziale divisorio? Oppure dobbiamo, come anarchici e quindi come persone fortemente ostili allo stato, ritrovarci a difendere lo stato secolare contro queste minoranze organizzate che lo vogliono usare per i propri scopi? Si tratta di una situazione che potrebbe non riguardare noi, ma che è senz'altro attuale negli Stati Uniti, dove ci si trova a difendere lo stato secolare contro Born Again Christians (Cristiani Rinati), o per gli anarchici israeliani che difendono lo stato secolare contro gli ebrei ultraortodossi, oppure per gli anarchici egiziani che difendono le istituzioni dello stato secolare contro il fondamentalismo islamico, o ancora per quelli che in India difendono lo stato secolare.
A mia opinione, questi cinque punti sulla differenza tra il mondo degli anarchici alla fine del 19° secolo e quello del 20° secolo, indicano la necessità di adottare uno stile diverso per la propaganda anarchica, sulla soglia del 21° secolo. Di fronte all'eclisse non solo dell'anarchismo, ma anche del grande filone del socialismo, mi sembra importante sottolineare, come ho già fatto vent'anni fa nel libro Anarchy in action (trad. it. «Anarchia come organizzazione», ed. Antistato, 1979), che l'anarchia non è una teoria dell'utopia, ma una teoria dell'organizzazione. Sono d'accordo con Paul Goodman quando osserva che «una società libera non può essere la sostituzione di un "nuovo ordine" ad un vecchio ordine; essa deve essere un'estensione della sfera del libero agire, fino a che essa non avrà cambiato la maggior parte della vita sociale». Questa convinzione mi esclude automaticamente dalle fila di coloro che pensano in termini di rivoluzione di massa (le cui prime vittime, dalla Cina a Cuba, sono stati gli anarchici), ma mi pone tra coloro che, come nell'utile polarizzazione proposta da MurrayBookchin, credono nell'ecologia sociale piuttosto che nell'ecologia profonda. Ritengo che l'anarchia trarrà un maggiore appoggio nel 21° secolo non dai partiti verdi, ma dal più ampio movimento dei Verdi.
Le idee anarchiche del 19° secolo erano inevitabilmente eurocentriche, anche quando venivano portate in Giappone, Cina e nelle città dell'America Latina da studenti e immigrati. Ma uno dei maggiori ampliamenti della fine del 20° secolo è rappresentato dal contributo apportato da uno stile diverso di pensiero anarchico, con un'etichetta diversa e cioè quella del movimento Sarvodaya in India (1) e dall'evolversi delle iniziative di autosufficienza e di autorganizzazione in Africa, Asia meridionale e America Latina (2).
I successi ottenuti dall'economia non ufficiale, che permettono alla società di andare avanti nel clima disperato dell'America del Sud, di fronte ad una classe governante predatrice e ad una casta militare che passa periodicamente al terrorismo di stato, vengono ora comunemente definiti come basismo, cioè come una società che deve essere costruita dalla base (3).
Sono convinto che un anarchismo intelligente del 21° secolo continuerà a rendere più fitti i propri legami con il mondo dei movimenti verdi e con le economie non ufficiali e informali del mondo povero, così come con quelle dei poveri all'interno del mondo ricco, al fine di trarne delle lezioni anarchiche sulla sopravvivenza umana. Ritengo che le lezioni impartiteci dal 21° secolo diano maggior forza al messaggio anarchico, ma che il nostro linguaggio debba tener conto delle nuove e complicate realtà sociali.

(traduzione di Andrea Ferrario dal mensile anarchico in lingua inglese «Freedom»)





1) Geoffrey Ostergaard. 'Indian Anarchism: the case of Vinoba Bhave' in The Raven, vol. 1, n. 2, agosto 1987 (Londra, Freedom Press).
2) Vedi, per esempio, Jorge Hardoy e David Satterthwaite. Squatter Citizen: life in the urban third world (Londra, Earthscan, 1989) e Bertha Turner (a cura di) Building Community: a third world case book (Londra, BCB,1988).
3) Vedi il capitolo conclusivo di 'Basismo, as if Reality Really Mattered, or Modernisation from Below' in David Lehmann. Democracy and Development in Latin America (Cambridge, Polity Press, 1990).